Martedì scorso gli analisti di JPMorgan in una nota hanno dichiarato che per la prima volta in sei mesi gli investitori istituzionali stanno abbandonando Bitcoin in favore dell’oro. La multinazionale americana ha sollevato preoccupazioni per il recente calo del Bitcoin ed ha avvertito gli investitori di una possibile impennata delle vendite sui mercati dei futures BTC. La valuta digitale più grande del mondo ha perso negli ultimi 7 giorni più del 27% tornando ai livelli di Febbraio, con la maggior parte delle perdite realizzate nella giornata di oggi, così come previsto dagli analisti di JPMorgan, cosa che ci ha portati a rispolverare le loro recenti dichiarazioni. Sul fronte delle commodity invece l’oro è rimasto pressoché invariato rispetto ad una settimana fa, confermando un recente periodo piatto dovuto ad una serie di fattore, ivi compreso la politica economica e monetaria degli Stati Uniti.
Il problema risiede però nella volatilità generata da questi strumenti e dalla poca chiarezza ed incoerenza delle agenzie di rating. La stessa JPMorgan aveva dichiarato agli inizi di Aprile che il prezzo target a lungo termine per il Bitcoin sarebbe stato di 130 000 dollari. Nikolaos Panigirtzoglou, stratega di JPMorgan, aveva pubblicato una nota a Febbraio di quest’anno nella quale aveva dichiarato che la volatilità di Bitcoin è un problema enorme per le grandi organizzazioni, ponendo un obiettivo di prezzo a lungo termine di $ 146.000 per il Bitcoin. Con la nota di Aprile invece JPMorgan aveva affermato che l’obiettivo di prezzo a lungo termine della banca per il bitcoin di 130 mila dollari si basava sull’idea che la volatilità di BTC convergerà con l’oro. Gli investitori e gli estimatori delle criptovalute hanno per tale ragione storto il naso e si sono scagliati contro l’agenzia americana, sottolineando le discrepanze fra quanto dichiarato ad inizio anno ed il dietro-front di questa settimana.
Nel mentre il mercato dell’oro non ha subito grosse variazioni di prezzo; negli Stati Uniti tiene banco il tema dell’inflazione americana e gli investitori guardano positivamente al bene rifugio in caso di repentini cambiamenti dei dati macroeconomici. Per Franklin Equity Group, la domanda di lingotti è destinata a rafforzarsi. “Crediamo che l’inflazione giocherà un ruolo di primo piano in molti Paesi – afferma Steve Land, research analyst e portfolio manager di Franklin Equity Group – poiché i governi cercheranno di ridurre il valore reale del debito che hanno accumulato durante la crisi. Ciò potrebbe alimentare la domanda regionale di oro quale alternativa comprovata alla detenzione di carta moneta nei contesti inflazionistici”.
“Alcuni elementi fanno pensare a un trend di inflazione più sostenuto rispetto al periodo di bassa inflazione che è seguito alla CFG – analizza Maria Paola Toschi, market strategist di Jp Morgan – In primo luogo le politiche fiscali oggi sono estremamente generose nonostante siamo in una fase espansiva del ciclo economico, al contrario delle misure di austerità che hanno seguito la crisi del 2008 e del debito europeo. Bassi tassi e forti acquisti delle banche centrali stanno dando ai Governi la sensazione che i debiti non siano più un problema e che l’emissione di bond sia senza limiti. Inoltre, l’ampia liquidità immessa nei sistemi finanziari dopo anni di allentamento quantitativo potrebbe essere un attivatore di inflazione soprattutto se la politica monetaria dovesse rimanere troppo accomodante troppo a lungo”.